L’Europa avrà anche perso ma la democrazia ha sicuramente vinto

Ieri, 23 giungo 2016, 17.410.742 elettori inglesi su oltre 30 milioni di votanti hanno scelto di abbandonare l’Unione Europea.

The referendum turnout was 71.8%, with more than 30 million people voting. It was the highest turnout in a UK-wide vote since the 1992 general election.The UK's EU referendum: All you need to know

Il cosiddetto #brexit, referendum sulla permanenza del Regno Unito in Europa, ha scatenato la fantasia di europeisti ed anti-europeisti ipotizzando scenari catastrofici da una parte e idilliaci dall’altra. Scatenati ovviamente anche i politici nostrani, da una parte allarmisti sulle conseguenze della scelta e dall’altra pronti a cogliere la palla al balzo e rilanciare la necessità di riformare una Europa che, ed è anche la mia personalissima opinione, non ha funzionato come speravano.

L’Italia in Europa

In Italia era il 1989 quando l’unico referendum concernente la nostra presenza in Europa, con la domanda di conferire -o meno- il “mandato di costituente” al Parlamento europeo, che veniva eletto nella stessa occasione. Vinse di larghissima misura il SI (oltre l’88 percento), con una partecipazione incredibile di più dell’80% degli aventi diritto. Erano altri anni, quelli. Anni in cui l’Italia iniziava a fare i conti con le sue debolezze strutturali. L’Europa si avviava verso la fine definitiva della guerra fredda (di lì a poco, il 9 Novembre 89, sarebbe crollato il Muro di Berlino)  e guardavamo tutti speranzosi a questo nuovo soggetto catalizzatore che già dal 1986 permetteva la libera circolazione di “persone, merci, servizi e capitali” entro l’Unione Europea.

Da allora, i governi che si sono susseguiti si sono guardati bene da chiedere al popolino cosa ne pensavano dell’Europa. Anche il governo Prodi, artefice materiale dell’ingresso dell’Italia nella zona Euro anche grazie alla “Tassa per l’Europa” che permise, il 30 dicembre 1996 (le porcate vengono sempre fatte quando gli Italiani sono meno attenti), di portare i già disastrati conti pubblici italiani all’interno dei rigidi vincoli stabiliti dal trattato di Maastrict, se ne guardarono bene. Così come se ne guardarono bene alla firma del Trattato di Lisbona (2007), oggetto di referendum in alcuni Paesi dell’Unione, che in Italia venne sottoscritto da D’Alema e Prodi.

Perdere la propria sovranità

Quando, nel 2002 sotto il Governo Berlusconi, iniziarono a circolare le prime banconote europee, l’Italia si rese subito conto del guaio in cui si era cacciata: impennata dei costi e calo del potere di acquisto reale. E a detta di alcuni economisti fu proprio il cambio “Euro-Lira” molto penalizzante a far perdere al nostro Paese ogni possibilità di riequilibrare i propri conti con l’estero e rilanciare la propria economia attraverso la svalutazione.

Inutile sottolineare che nei successivi 14 anni di Europa segnali positivi non si sono visti. L’Europa monetaria, che doveva essere il primo passo verso una unione anche politica, non ha saputo andare oltre l’imposizione di politiche economiche decise dagli attori protagonisti, Germania e Francia, insieme alla BCE, la Banca Centrale Europa, unico potentissimo soggetto finanziario.

La perdita della sovranità monetaria ed un costante inesorabile aumento del debito pubblico del nostro Paese, con conseguente perdita anche di sovranità politica al refrain del “ce lo chiede l’Europa” (che più spesso è una scusa dei nostri politici per tartassarci sperando di restarne puliti), ha fatto svanire presto i sogni dorati dell’Unione Europea.

Oggi, con un coraggioso referendum, il Regno Unito (che aveva peraltro deciso di mantenere la sua sovranità monetaria) decide di abbandonare la barca Europa per navigare in acque sconosciute. E lo fa con l’atto più democratico possibile, il referendum.

I cittadini inglesi, chiamati in prima persona a decidere sul continuare o meno l’esperimento europeo, hanno deciso di interromperlo. Un duro colpo, che può uccidere il paziente malato o spronare un campione in buona salute. Vedremo, adesso, cos’è realmente questa Europa che da anni cercano di farci ingoiare a suon di pillole amare.

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1 comment
  1. Scusate se il testo avrà qualche difetto sulla lingua italiana. Non sono italiana ma vivo qui. E vorrei lo stesso esprimermi. Non so se è un bene, rispettando le regole della democrazia diretta, che la Gran Bretagna esce dall’ EU. E sono d’accordo che di più che si chiede il parere del popolo, di meglio è. Il popolo inglese alla fine sentiva il bisogno di esprimersi perché erano stati PROVOCATI da una serie di fattori esterni che hanno portato all’esito come l’abbiamo visto. Per me ci perde. Perché ci vorrebbe un Movimento 5 Stelle anche lì per tutelare la popolazione dalle manipolazioni alle quali rischia di essere sottomesse. Se non saranno ostaggio degli interessi dei organi mondiali finanziari, potranno rimanere inchiodato in un sistema locale simile dove la disuguaglianza regnerà come nel potente e disonesto EU. È dal 2013 e prima che Cameron si esibiva con forti toni contro Europa e minacciava gli alleati per una possibile exit, soltanto per favorire la sua campagna politica e per garantirsi la sua re-elezione. Ricordo le sue forti proteste anti-immigrazione e le sue prese di posizione sempre ambigue e negative su quasi qualsiasi questione comunitaria. Poi la crisi ha fatto il resto. E non poteva più fare a meno di indire il referendum, tutto sommato su un tema così delicato e importante che era più utile organizzare delle campagne informative imponenti e sicuri sulle conseguenze del Brexit, che fare questa abominevole si/no strategia che poi si è visto capitare. Concludo dicendo: SI ai referendum su qualsiasi tema. Ma non creare prima un clima di parte, e/o negativa e confusionale direi. E soprattutto mettere al centro l’INFORMAZIONE. Perché la nostra libertà comincia qui, dove siamo coscienti di quello di cui ci occupiamo.

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