30 anni fa, il 26 aprile 1986, la Storia del Mondo conobbe Cernobyl, forse il più grave disastro nucleare della storia del nostro pianeta.
Ero bambino -avevo 7 anni quando accadde- ed ho solamente qualche sfumato ricordo della preoccupazione che si viveva in famiglia a seguito delle notizie che riportava, costantemente, la TV. Del non poter mangiare le verdure dell’orto e di uscire di casa il meno possibile per la “nube radioattiva” che scorrazzava, portata dai venti, per tutta Europa.
E poi iniziarono ad arrivare le notizie più tragiche, quelle dei morti e dei malati di tumore. Leucemie e malformazioni, drammi e disperazione. Decine di migliaia di famiglie costrette ad abbandonare le proprie case. E per anni, forse ancora oggi, durante l’estate arrivavano dalla russia i “bambini di Chernobyl“, portati in vacanza in Italia per decontaminarsi. Biondi, pelle chiara, occhi celesti. E l’aria triste di chi ha dovuto abbandonare con la forza la propria vita, la propria famiglia, la propria casa. E sperare di non ammalarsi per l’esposizione alle radiazioni che, nel raggio di centinaia di km, ancora oggi continuano a superare i livelli di guardia.
Ricordi di infanzia. Del referendum sul nucleare dell’anno dopo, con oltre l’80% di partecipazione, forse anche sull’onda emotiva del disastro dell’anno prima. Dei dibattiti sul SI e sul NO, delle centrali nucleari già costruite e dei costi per la loro riconversione a carbone, degli adesivi gialli con il sole che ride e la scritta “Energia Nucleare ? No grazie“. La rivista “Nuova Elettronica”, a cui era abbonato mio padre, propose il kit per costruirsi un contatore geiger. E l’incubo della nube radioattiva, sempre presente. La paura alla vista della centrale, esplosa. I bambini colpiti da tumore, gli animali malformati… l’incubo nucleare in mondovisione, la potenza URSS costretta a chiedere aiuto al mondo… il vecchio mondo scoprì il pericolo delle radiazioni.
Oggi, a distanza di 30 anni, in Italia non abbiamo centrali nucleari (sono tutte al confine con i paesi del nord europa…) ma abbiamo perso una importante occasione per dare un forte incentivo alle rinnovabili, a quel “sole che ride” che 30 anni fa campeggiava sui paraurti ma che, ancora oggi, stenta a brillare.
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