Perché è una stupidaggine l’identità certificata sui social

Viviamo in un’epoca di tale finzione che oggi siamo in grado di costruire la nostra identità come la vorremmo noi, non com’è veramente.
Kasia Smutniak

L’ultima frontiera delle stupidaggini da parte di una classe politica decisamente ignorante sul tema della privacy e della tecnologia è la certificazione dei profili sui social network, chiedendo il documento di identità per la registrazione.

Se il disegno di legge proposto a gennaio da parte di alcuni senatori sembra non aver avuto (fortunatamente) seguito, ecco che la “tentazione del controllo” torna prepotentemente in auge, complice la consapevolezza di quanto i social ormai siano determinanti nell’alveo politico.

Al di là della necessità di adottare comunque soluzioni per minimizzare l’impatto della propaganda e delle notizie fasulle, così come impedire l’uso della Rete per atti criminali, richiedere una conferma di identità per l’iscrizione a un social network è una misura liberticida, stupida e del tutto inutile.

Innanzi tutto non si capisce bene l’effetto pratico che potrebbe avere una normativa simile sugli utenti, nel caso venisse adottata: la quasi totalità delle piattaforme sociali sono di proprietà di aziende con sede fuori dall’Italia quindi, nel migliore dei casi, le misure potrebbero coinvolgere al massimo solo gli utenti italiani, creando un evidente disparità di trattamento con tutti gli altri. Senza considerare che spesso e volentieri le agenzie di “fake news” e “spam bots” operano da paesi extra-UE.

Ma, al di là della questione normativa, ci sono delle peculiarità squisitamente tecniche a rendere ancora più inutile un provvedimento del genere:

  • l’anonimato in Rete non esiste: le autorità hanno già gli strumenti per monitorare le connessioni e, quindi, determinare l’origine della connessione e l’intestatario dell’IP nel caso di reati gravi;
  • posso usare strumenti per anonimizzare la mia connessione, come TOR o altri sistemi di proxy o VPN, per nascondere il reale IP da cui sono connesso alla Rete;
  • usando un semplice programma di fotoritocco, realizzare documenti fasulli da inviare per la “certificazione” dell’account;

Ci sono delle motivazioni molto serie sulla necessità di tutelare l’anonimato, soprattutto in Rete. L’anonimato è uno strumento nelle mani di noi cittadini per denunciare eventuali malefatte (whistleblowing) dei potenti di turno. L’anonimato consente una maggiore libertà di espressione senza doverci necessariamente “mettere la faccia”. Rimanere nell’anonimato è una scelta, non un obbligo, e come tale deve essere tutelato.

La storia insegna che l’anonimato (o pseudo-anonimato, come l’uso di pseudonimi) è stato un importantissimo strumento politico. La prima donna a correre la maratona di Boston, Kathrine Switzer, poté correre la gara iscrivendosi con un nome modificato: all’epoca, il regolamento non permetteva alle donne di partecipare alla competizione!

Anche in altri settori, come in letteratura, l’uso degli pseudonimi è stato spesso usato come strumento di libertà, per poter scrivere opinioni anche critiche senza rischiare rappresaglie.

Insomma, di cosa abbiamo paura? Delle fake news? Degli spam bot? Di account fasulli che insultano gratuitamente?

Credo che sia più importante lavorare per avere una popolazione istruita e criticamente pensante, condizione necessaria per sostenere la democrazia: il sistema educativo deve fornire ai cittadini tutte le competenze di base per una vita indipendente nella società dell’informazione, compresa l’alfabetizzazione funzionale, il minimo legale, la privacy della rete, l’alfabetizzazione finanziaria di base e l’educazione ai media.

Solo attraverso l’educazione miglioreremo la resistenza della gente alla propaganda e alla manipolazione psicologica: le fake news avrebbero vita molto breve!

P.S. Esistono social network che fanno dell’anonimato uno dei suoi punti di forza, ad esempio Reddit (www.reddit.com), dove gli utenti hanno atteggiamenti molto più civili e proficui di altri network meno “anonimi”…

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1 comment
  1. Condivido solo in parte il contenuto dell’articolo. Con tutti i limiti del caso non essendo un esperto, basterebbe una minima analisi per considerare criticamente le tesi esposte. L’esigenza riconosciuta come seria è quella di perseguire ed identificare comportamenti illeciti sia rispetto alla normativa legale nazionale o sovra-nazionale, sia rispetto alla tutela dei diritti della persona e delle relazioni sociali. L’anonimato, giustificabile solo in contesti antidemocratici e culture repressive, favorisce di fatto intenzioni o posizioni di cui non si voglia assumere la responsabilità diretta. E’ chiaro tuttavia che, come nella piazza reale, ciascuno può esporre la propria presenza senza escludere la possibilità o il dovere di identificazione nei limiti e nei modi previsti dalla legge. Nè si può dire che, essendo la rete territorio globalizzato e anarchico, non possa o debba, nelle operatività nazionali o sovra-nazionalità, rispondere alle regole di legittimità democraticamente ivi contemplate e tutelate. In effetti le fake sono sempre alimentate e moltiplicate in aree di rete anonime e opache in ogni senso, tanto da determinare sconcerto e difficoltà di verifica democratica anche per utenti normalmente educati e formati. Si pensi ai diluvio di falsi profili demagogici o antidemocratici diffusi in occasioni elettorali di paesi dell’Est Europa. Questo solo per citare alcune tematiche critiche sul tema, meritorio comunque di ampia, onesta e attenta riflessione.

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