Houston, abbiamo un problema nella PA: le competenze giuste al posto giusto

“Ci sono tre cose che non puoi simulare, e sono le erezioni,
la competenza e la creatività.”
Douglas Coupland

Credo che uno dei problemi della PA italiana sia la valutazione delle competenze in ambito ICT, azione necessaria per poter effettuare le nomine migliori per i posti “chiave” della Pubblica Amministrazione, alle prese con il difficile e complicato percorso della digitalizzazione.

Premetto subito che non è mia intenzione puntare il dito su quella o quell’altra nomina perché non è questo il mio obiettivo né ritengo di avere le competenze giuste per farlo.

Inizierò raccontando la storia che mi ha ispirato per questo post, una delle tante della PA italiana.

Prendiamo un ministero molto importante, come il MIURMinistero Istruzione, Università e Ricerca– e la relativa nota del 5 dicembre 2019, che testualmente recita, in merito all’attuazione della riorganizzazione e la digitalizzazione dell’amministrazione pubblica:

Il Dirigente responsabile di tale Ufficio coincide con il Responsabile della transizione digitale (di seguito, “RTD”), con compiti di “coordinamento strategico dello sviluppo dei sistemi informativi di telecomunicazione e fonia”, “indirizzo e coordinamento dello sviluppo dei servizi, sia interni che esterni forniti dai sistemi informativi di telecomunicazione e fonia dell’amministrazione” che deve altresì possedere “adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali e risponde, con riferimento ai compiti relativi alla transizione, alla modalità digitale direttamente all’organo di vertice politico”, ai sensi dell’art. 17, comma 1-ter del CAD.


Nota MIUR del 5 dicembre 2019 “Indicazioni circa il ruolo e le funzioni del Responsabile per la Transizione Digitale (RTD) del MIUR e delle Istituzioni scolastiche ed educative statali.”

I compiti dell’RTD, sempre dal sito web del Ministero, sono:

  • Garantire la transizione della gestione documentale da analogica a digitale;
  • Valorizzare il patrimonio informativo disponibile per orientare scelte strategiche e innovazione di servizio;
  • Sperimentare l’applicazione di meccanismi di digital by design e privacy by design nell’evoluzione dei processi;
  • Ridurre il digital divide e migliorare le competenze del personale per l’implementazione di un modello di servizio digitale;

Per pura curiosità, vado a vedere il curriculum vitae dell’attuale RTD, liberamente disponibile sulla sezione “Trasparenza” del sito web ministeriale come prevede la normativa per le figure apicali e dirigenziali (non metto il link al CV perché, appunto, non mi interessa mettere alla “gogna” alcuno).

Alla voce “Competenze Informatiche”, viene indicato:

Anche nelle altre voci non c’è traccia di esperienze specifiche in ambito ICT.

Giusto per la precisione, il CV è datato 12 aprile 2017: magari, nel frattempo, la figura in questione ha avuto modo di migliorare le proprie competenze informatiche. Tuttavia, se escludiamo la banalità delle competenze nell’uso della suite Office di Microsoft (potete anche ometterla dal CV, poiché non è una competenza. Se mai, è un requisito base.), il resto sono applicativi per l’analisi statistica ed economica dei dati.

Insomma, da una figura così importante come il Responsabile della Transizione Digitale del MIUR, previsto dall’art. 17 del Codice dell’Amministrazione Digitale, che deve coordinare la “transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, attraverso una maggiore efficienza ed economicità”, ci si aspetterebbero competenze informatiche un po più vaste.

Inoltre, se avete letto bene la nota indicata a inizio articolo, il MIUR ha “invitato le Istituzioni scolastiche ed educative che abbiano eventualmente nominato un RTD a far decadere le nomine effettuate, riconoscendo il RTD del MIUR quale unico responsabile per la transizione digitale dell’intero settore Istruzione“: non solo, quindi, la figura indicata è RTD di un importante Ministero della Repubblica ma, in più, anche dell’intero settore Istruzione!

Di questa criticità, allargata a molte altre realtà istituzionali, si erano accorti anche i commissari della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla digitalizzazione e l’innovazione della PA, che nella relazione conclusiva del 13 febbraio 2020 testualmente dichiarano:

Nonostante, come ricordato nella relazione alla delibera istitutiva di questa Commissione, già nel 1981 era possibile leggere in un rapporto CNEL “un processo di riforma della Pubblica Amministrazione che voglia essere moderno e produttivo non può prescindere da un utilizzo razionale dell’informatica. Il che comporta un’altra affermazione che è corollario naturale di quella che precede e cioè che l’informatica non è uno strumento aggiuntivo nella pubblica amministrazione, ma uno strumento di riforma”, la mancanza di consapevolezza dell’importanza del digitale ha portato la PA, negli anni, a non dotarsi delle competenze tecnologiche, manageriali e di informatica giuridica necessarie. Dalle audizioni emerge più volte che mancano le competenze interne e l’amministrazione sceglie di fare ampio ricorso al mercato. L’analisi dei curricula dei responsabili della transizione alla modalità operativa digitale rende difficile affermare che il comma 1-ter dell’articolo 17 del CAD sia rispettato, e cioè che “il responsabile dell’ufficio (. . . ) è dotato di adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali”, in alcuni casi per stessa ammissione dei responsabili durante le audizioni.

Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla digitalizzazione e l’innovazione della PA, 13 feb 2020

Poche righe sotto, la stessa Commissione non risparmia critiche in merito:

La mancanza di competenze adeguate, soprattutto nei livelli apicali, e una concezione desueta del digitale, visto come ancillare, di servizio e non come strategico, porta al rischio sistematico di impiego inefficiente di denaro pubblico, in alcuni casi vero e proprio spreco.


Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla digitalizzazione e l’innovazione della PA, 13 feb 2020

A questo punto la domanda che il lettore si starà facendo è: come valuto le competenze? Esistono parametri oggettivi per farlo? La risposta è SI.

Ad esempio, utilizzando il framework europeo per la valutazione delle competenze digitali, DigiComp, promosso anche da AgID, l’Agenzia per l’Italia Digitale. A cui si aggiunge tutto il lavoro svolto, sempre da AgID, delle “Linee guida per l’armonizzazione delle qualificazioni professionali, delle professioni e dei profili in ambito ICT” e, per le figure manageriali, tutto l’ambito delle competenze di e-leadership, definito come “capacità di utilizzare al meglio le tecnologie digitali all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione e di introdurre innovazione digitale nello specifico settore di mercato in cui si opera. Le competenze digitali si integrano strettamente con le competenze trasversali tipiche del leader e con le competenze specifiche di settore“. Quest’ultima definizione assomiglia molto alle competenze richieste per gli RTD, o sbaglio?

Per la cronaca, a livello europeo possiamo anche avvalerci della norma UNI EN 16234-1, e-Competence Framework 3.0 europeo, creata per essere utilizzata da:

  • aziende di servizi ICT, della domanda e dell’offerta,
  • professionisti ICT, manager e reparti risorse umane (HR),
  • istituti di istruzione professionale ed enti di formazione, inclusa l’istruzione superiore,
  • parti sociali (sindacati e associazioni dei datori di lavoro), associazioni e ordini professionali, enti di accreditamento, di validazione e valutazione professionale,
  • analisti di mercato, responsabili di decisioni politiche,
    e da altre organizzazioni e parti interessate nei settori pubblico e privato.

È sempre AgID a proporre una mappatura tra il framework nazionale e quello europeo, disponibile a questo link.

Se Atene piange, anche Sparta non ride: secondo una ricerca di Unioncamere, che riunisce le Camere di Commercio italiane, uscita proprio in questi giorni, “un italiano su due padroneggia gli strumenti di base di internet, quasi 3 su 10 possono definirsi coach ma solo il 3,8% è leader e vanta competenze digitali avanzate“: un po’ pochino per innescare quel meccanismo “virtuoso” di sviluppo e impresa capace di essere competitiva nel mondo attuale, al quale ovviamente anche la PA non può e non deve sottrarsi.

Concludo questo articolo riallacciandomi proprio al percorso che AgID propone per l’alfabetizzazione della PA italiana, quando al punto 3.1. Sviluppo della e-leadership per la PA recita, testualmente, che “I dirigenti della PA, per primi, sono destinatari delle iniziative di alfabetizzazione digitale e, contemporaneamente, responsabili della loro diffusione e del loro successo”. Era il 2018.

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