Guardoni 2.0: quando la tecnologia viola la nostra intimità

“Far entrare qualcuno nelle proprie paure è più intimo che andarci a letto.”

Sul Web c’è porno.

Niente di nuovo, ovviamente. Che piaccia o meno, anche se ormai i motori di ricerca hanno introdotto potenti soluzioni di filtro, capita sempre di veder comparire un seno o delle natiche di signorine (o maschietti) accondiscendenti. Tra l’altro, a dispetto dell’indignazione di qualche benpensante, le statistiche ci dicono che le donne apprezzano sempre di più il settore.

Niente di male, ovviamente: il sesso è parte essenziale della vita. Il problema nasce quando il soggetto ritratto non è affatto accondiscendente o, peggio che mai, all’oscuro di tutto: è il porno da voyeur, che nell’era dell’IoT non poteva rinunciare a conquistarsi la sua nicchia di mercato.

In alcuni Paesi dell’Est asiatico, ma anche negli USA si sta purtroppo diffondendo l’antipatica (e illegale) pratica di nascondere telecamere nascoste nelle toilettes pubbliche, a riprenderci durante i momenti più personali e intimi. Perché, e qui nessuno si stupirà, a qualcuno piace guardare il “momento del bisogno”. E quando qualcuno è disposto a pagare per avere questo piacere, qualcun’altro si ingegnerà per creare l’offerta e far soldi.

Difficile difendersi, perché la tecnologia delle telecamere ha ormai raggiunto dimensioni millimetriche e possono essere nascoste praticamente ovunque, dagli anfratti nei muri ai pannelli del soffitto. La violazione della nostra più intima intimità è, oggi, più semplice che mai.

Alcuni tutorial in rete suggeriscono di utilizzare una torcia (o la funzione torcia presente in molti smartphone) per individuare le lenti, piccolissime, indebitamente presenti. Altri sistemi collegati via radio possono essere individuati con l’ausilio di un rivelatore di RF, ma anche qui la tecnologia è andata avanti.

C’è poi chi sfrutta gli occhi elettronici che, volontariamente, piazziamo noi dentro casa nostra: la notizia degli inizi di Ottobre sulla presenza, sul darkweb, di un archivio da 3TB di clip registrati dalle telecamere casalinghe di sorveglianza. Occhi elettronici che troppe volte, con troppa leggerezza, lasciamo esposti in Rete. Con password banali o senza password, con firmware vulnerabili o sistemi di cloud senza protezioni adeguate. E la nostra vita privata, intima o meno, che finisce in questi archivi.

Delle telecamere di sorveglianza insicure ne avevamo già parlato nel post “Insecam, il database delle telecamere pubbliche (a loro insaputa)“, dove l’Italia figura in quarta posizione con 716 telecamere aperte a tutti: c’è di tutto, dai cancelli di ville private a parcheggi pubblici, da distributori di benzina a panorami su giardini e terrazze private.

La conseguenza di una generale ignoranza dell’importanza della sicurezza e della privacy, unita all’invasione di tecnologie low-cost (e anche low-security) ha provocato una specie di “tempesta perfetta” in cui, a farne le spese, sono i malcapitati che vi si ritroveranno dentro.

La tecnologia ha sempre un lato oscuro con cui dover fare i conti, e tra voyeur 2.0 e installazioni cialtronesche, la nostra privacy è sempre costantemente a rischio. La vera sfida è riuscire a difendersi.

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