Il whistleblowing della PA rischia di fallire prima di nascere

“In un governo ben ordinato, libero, popolare… tutti siamo in dovere di fare la spia…!”
Antonio Ghislanzoni

Che la PA italiana non funzionasse come dovrebbe è cosa ormai nota. Così come l’elevato tasso di corruzione e clientelismo, che dai piccoli comuni sale fino ai grandi Enti nazionali (lo scandalo da svariati miliardi di € che ha travolto la CONSIP, ad esempio). Così, per tentare di arginare un fenomeno odioso, dannoso ma quantomai diffuso, il Governo ha, con la Legge 190/2012, introdotto la possibilità del whisleblowing, letteralmente “fischiare”, ovvero la possibilità per i dipendenti della PA di denunciare, anche in forma anonima, eventuali misfatti.

Nel lungo report relativo all’anno 2017, reperibile sul sito dell’ANAC – Autorità Nazionale Anti Corruzione – si leggono tantissimi buoni propositi ma si coglie anche la consapevolezza che tale progetto difficilmente avrà successopoiché si presenta in un contesto in cui, da una parte, il whistleblower è ancora percepito come un elemento di disturbo entro la Pubblica Amministrazione di appartenenza poiché capace tanto di mettere a repentaglio la reputazione di quest’ultima, quanto di rompere omertà consolidate”.

Tuttavia, prosegue, “si moltiplicano gli strumenti di segnalazione e il numero stesso delle segnalazioni, manifestando così anche la volontà di tanti enti della P.A. di dare adempimento al disposto della “Legge Severino”, nonché di tanti dipendenti pubblici a determinarsi a segnalare”.

La chiave però è anche lo strumento di segnalazione, che deve garantire adeguata riservatezza al segnalante.

Da una veloce ricerca in rete, ho visto come in genere il tutto si traduca in un indirizzo email ed una procedura per la segnalazione. Solo il Comune di Venezia, nell’ambito del premio Forum PA 2017, ha introdotto un sistema informatico automatizzato per la gestione delle segnalazioni, previa autenticazione sul portale whistleblowing.comune.venezia.it. Questo progetto è stato realizzato in collaborazione con una società privata, la Venis Spa, che non ha rilasciato i codici sorgente del prodotto.

Arrivo al punto della questione: il software utilizzato.

Come ben sa chi mi segue, ho più volte sottolineato come solamente il software di cui il sorgente sia liberamente disponibile offre garanzie di sicurezza ed integrità. E su un tema così delicato come la denuncia di illeciti è necessario offrire la massima garanzia di riservatezza al segnalatore, che spesso trova difficile fidarsi di strumenti chiusi messi ed il cui funzionamento sia opaco (e questo vale anche per le caselle di posta elettronica, soprattutto quelle con un anonimo whistleblowing@comune.xxx !). Esistono già strumenti open source per il whistleblowing, come ad esempio Globaleaks (www.globaleaks.org), il cui sorgente è liberamente scaricabile ed installabile su di un proprio server. Globaleaks è usato, ad esempio, da ALAC – ALerta AntiCorruzione – un progetto di Trasparency International Italia nato proprio per combattere la corruzione.

L’uso di uno strumento il cui sorgente sia libero e consultabile offre sicuramente maggiori garanzie di un portale sviluppato ad-hoc da una azienda informatica o di un semplice e banale indirizzo di posta elettronica. Risulta quindi incomprensibile, ad esempio, come la stessa ANAC abbia effettuato una gara per “la manutenzione e l’aggiornamento del sistema dell’authority anticorruzione” (Appalto Anac per il software Whistleblowing Pa: chi c’è dietro), quando strumenti di questo tipo, che trattano dati sensibili e la riservatezza è prioritaria, dovrebbero essere interamente gestiti in-house da personale dipendente specializzato ed usando esclusivamente prodotti open source.

Eppure, purtroppo, la PA italiana si dimostra inefficiente ed incapace di comprendere a pieno le sfide dell’innovazione, relegandosi ad un misero posto di “stazione appaltante” che gestisce i soldi dei contribuenti assegnando lavori (che potrebbe tranquillamente fare in proprio con risorse interne, sviluppando sia il know-how che la motivazione dei dipendenti) ad aziende private esterne. Il risultato è che normative giuste vengono vanificate per l’inedia di dirigenti incapaci di eseguire il proprio ruolo e di aziende che sfruttano questa situazione per precarizzare ancora di più il mercato del lavoro.

L’ennesima, e non mi stancherò mai di denunciarlo, occasione sprecata per la PA italiana.

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