Gli immigrati vogliono quello che vogliamo noi

Cosa c’è di così strano nel volere una vita migliore per sé e per i propri figli ? Dagli anni ’50 in poi, dopo la fine della seconda guerra mondiale, molti Stati  hanno costruito un sistema di welfare sociale, sanitario, scolastico per raggiungere quello che oggi chiamiamo “occidente”.

Per noi è scontato avere un’ospedale dove andare quando stiamo male, chiamare il medico di famiglia, scegliere la scuola materna, elementare, media e superiore secondo le nostre esigenze. Iscriversi all’Università, nella speranza di ottenere un lavoro migliore e di poter fare carriera. E’ normale desiderare una bella casa, una bella macchina, dei bei vestiti e magari anche fare le vacanze, possibilmente in posti chic.

Ormai ignoriamo la fortuna di poter andare in un supermercato qualsiasi e trovare, a prezzi ragionevolmente bassi, qualunque tipo di cibo, vestito, oggetto.

Sentiamo di avere conquistato il diritto ad un lavoro, all’istruzione, alla salute: lo consideriamo “normale”, perché viviamo in uno “stato democratico” del ricco occidente, che mangia ananas sudamericano, cioccolato centrafricano, caffé brasiliano e limoni sudafricani. E le nostre donne, belle ed eleganti, non disdegnano un bel diamante estratto nello Zimbawe, da esibire ai brunch con le amiche sul bordo di qualche piscina esclusiva. Non disdegnamo di indossare una bella camicia di lino o di seta, prodotta in Turchia o in Azerbajan, in India o in Cina, magari pure firmata da qualche famoso stilista italiano. Certo non ci dispiace neanche possedere un cellulare o tablet, prodotto in Corea con il coltan estratto in Congo (http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2013/07/19/news/il_costo_del_coltan-63325505/).

I nostri figli sono inondati di giocattoli di plastica realizzati grazie al petrolio iraniano e iracheno, estratto anche dai pozzi dell’Eni, o di vestiti cuciti da ragazze egiziane sottopagate e non ci verrebbe mai in mente di rinunciare a tutto questo o di caricarlo su un qualsiasi mezzo per affrontare un viaggio di 10-12 ore verso l’ignoto.

Neanche ci dispiace più di tanto per quello strano fenomeno del land grabbing, per il quale anche noi Italiani “brava gente” abbiamo iniziato la nostra corsa all’accaparramento (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/06/land-grabbing-la-corsa-alla-terra-italiana-in-senegal-tra-truffe-e-fallimenti/1103111/).

Troviamo anche molto di moda poter andare in una qualunque agenzia turistica e prenotare un tour in Tanzania o una settimana in Kenia o in Marocco, a godere delle bellezze artistiche e naturali di quei paesi.

Nessuno, per finire, biasimerebbe più di tanto un giovane talentuoso che volesse andare a cercare fortuna nel nord Europa o negli USA (Cinquecentomila italiani sono emigrati dal 2008 al 2013): lì si che la ricerca funziona, che le università danno opportunità, che la società è avanzata !

Però troviamo strano, se non proprio disdicevole, che le popolazioni dei Paesi più poveri del nostro cerchino di fuggire dalle loro realtà fatte di guerre, di miseria, di povertà economica e culturale, rischiando la loro vita affidandosi a traghettatori senza scrupoli che, caricati su bagnarole dove nessuno di noi “occidentali” metterebbe neppure piede, tentano di raggiungere l’Europa, quel continente di cui vedono i programmi televisivi via satellite e che promette fortuna e ricchezza a tutti.

“Restate a casa vostra” sentiamo dire sempre più spesso, soprattutto adesso che la Lega e CasaPound hanno fatto dell’immigrazione il loro cavallo di battaglia politico-elettorale, con il quale conquistano migliaia di voti perché “Non vi vogliamo qui !“: fino a 20-30 anni fa gli stessi epiteti erano rivolti ai meridionali, che tentavano la scalata sociale caricando la loro valigia di cartone su un treno o su un autobus “postale” diretto verso il ricco Nord. Così, mentre prima si vedevano insegne del tipo “non affittiamo a meridionali”, adesso la popolazione si rivolta verso gli immigrati, il nuovo capro espiatorio dell’italiano medio, inneggiando slogan razzisti e xenofobi come “L’Italia agli Italiani” (che ricorda molto il leghista “Prima il Nord“, molto in voga prima che Salvini si rendesse conto che, ormai, al nord ci sono più meridionali che autoctoni).

Eppure basterebbe fermarsi un attimo a pensare che, in fondo, queste persone vogliono semplicemente quello che vogliamo noi: una vita migliore. E fuggono lontano dalle loro case, dai loro cari, dalle loro famiglie per ottenerlo. Possiamo biasimarli per questo ?

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