La TV sdogana le coppie gay, la politica no

Dovete perdonarmi se, probabilmente, me ne sono accorto tardi (non sono un amante della TV e non la guardo praticamente mai) ma sono rimasto sorpreso nello scoprire che in uno spot c’è una madre che dice al figlio qualcosa come “così puoi farla assaggiare al tuo coinquilino…” e lui risponde, tranquillamente, “no, mamma, non è il mio coinquilino: è il mio ragazzo !“.

Che la pubblicità, ancor più dei programmi TV, sia sempre attenta ai cambiamenti sociali non è una novità, nel bene e nel male. La domanda che mi sorge spontanea è se la società italiana, molto tradizionalista, provinciale e legata alle tradizioni, è pronta a questi cambiamenti sociali: evidentemente si, anche perché una azienda non rischia i suoi investimenti promuovendo prodotti legati a tabù.

Tuttavia, proprio nei giorni in cui è in corso una pesante diatriba legata ai registri delle unioni civili (la Circolare del Ministero dell’Interno, Alfano, ha scatenato una levata di scudi da parte di alcuni sindaci avanguardisti, tra cui Marino), ancora una volta si rischia una “guerra di religione” che ricorda gli anni ’80, quando vi fu il referendum sull’aborto: anche in questa occasione l’Italia seppe, contrariamente a quanto sostenuto dalla Chiesa e dalle forze politiche ad esse vicine, essere molto più matura della sua classe politica.

Personalmente sono favorevole al registro delle unioni civili, soprattutto per garantire dignità e diritto all’assistenza anche alle coppie che non possono sposarsi, anche gay.

Non credo che in tutto questo, che è una questione civile e non religiosa, le gerarchie ecclesiastiche abbiano il diritto (se così vogliamo dirla) di metterci bocca: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Luca, 20-26)

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